di Rosella Zazzetta
Capita di vivere molto tempo senza imbattersi in una malattia e a un certo punto incontrarne una che ha preso per me la faccia del destino.
Quando mi sono ammalata – 6 anni fa – mi sentivo inviolabile. L’artrite reumatoide è arrivata come uno scarto che taglia netto il passato dal presente rovesciando l’esistenza e azzerando i progetti.Mentre si sistemava in ogni articolazione, ha spazzato via tutto come un ciclone tropicale, la relazione col mondo, i sentimenti, il rapporto col corpo che si andava trasformando e l’immagine di me stessa sono stati trascinati in un luogo di paura e sconcerto.Il corpo non voleva più obbedire ma solo comandare e il dolore era insopportabile in ogni angolo, nelle articolazione e nell’anima.Ho avuto una diagnosi precoce e la fortuna di cominciare la cura con un’equipe di medici competenti, capaci di raccontarmi la verità senza addolcirla, incoraggiandomi ad affrontare un futuro difficile in cui l’artrite ed io non ci saremmo più lasciate, piuttosto lei non avrebbe più lasciato me mentre io lo avrei desiderato fortissimamente. Tutto il contrario di quello che mi è capitato coi fidanzati.Nonostante le terapie e i farmaci che ho assunto da subito con compliance i primi 2 anni sono stati molto difficili da varcare: era il dolore insieme all’impotenza, era l’impossibilità di accettare la rivoluzione nelle giornate tanto che guardavo al passato come alla mia ex-vita. Le sicurezze completamente scardinate hanno impastato la patologia con l’ansia e la certezza che niente era più come prima; famiglia, amici e affetti non bastano e non possono entrare in questo arcipelago di emozioni che solo altri malati riescono a penetrare fino in fondo.Dopo 6 anni non so se anche il cuore e la testa si sono modificati come le mie mani e il resto del corpo, non penso che la malattia cambi le persone né le renda migliori; ciò che cambia in maniera irreversibile è l’assetto emotivo del malato: cuore e ragione hanno una quota diversa, le emozioni sono più spesso in primo piano come una sonda per conoscere e capire, il sé e l’altro, il passato e un presente che arresta i desideri. Da malati si diventa precocemente vecchi e non solo per l’invalidità fisica, ciò che avvicina bruscamente agli anziani è il prevalere della vita di immaginazione dove il ricordo prende il posto dei progetti.La malattia equivale a un sequestro di persona che condizionerà ogni scelta e dove gradualmente si acquisisce la consapevolezza che nessun riscatto ti libererà dall’aguzzino; tanto vale cominciare la ricerca di una difficile convivenza. Sono più di uno i sostegni di cui si ha bisogno per trasformarsi da vittime in protagonisti: un buon rapporto di fiducia con i medici, le medicine giuste, gli amici, gli affetti, a volte anche una psicoterapia che aiuti a recuperare la fiducia smarrita, una concertazione di strumenti che aiutano il malato a riportare qualità alla propria vita.Mi ricordo bene i primi 2 anni di grandissimo dolore fisico ma altrettanto bene ricordo cosa mi è successo qualche mese dopo aver iniziato ad assumere i farmaci biologici; ero in cura al centro di reumatologia di Jesi dove – insieme a me – c’erano malati che venivano da Bari e da Palermo per entrare in questo progetto denominato Antares e ho ricominciato a recuperare la voglia di fare progetti per il futuro. Mi sono sentita meglio, soprattutto avevo fiducia che mi avrebbero aiutato a sopportare il quotidiano fastidio.Si, queste malattie hanno momenti acuti a cui si alternano delle tregue ma certamente la malattia è gestita e – in parte – addomesticata. Poi ho cercato e trovato l’ALMAR dove altri malati compiono il gesto quotidiano di capire senza compatire e il lavoro, luogo di disagio e incertezza, è diventato invece il terreno in cui recuperare le sicurezze psicologiche e intellettuali a fronte della perdita di quelle fisiche, dell’immagine. Come per chi perde la vista e acuisce tatto, olfatto a compensazione: straordinario meccanismo della macchina umana che non si arrende mai e sperimenta nuove strade laddove ne perde una, il lavoro è oggi un formidabile antinfiammatorio a rilascio prolungato, dalle 9 di mattina alle 7 di sera. E i riconoscimenti non rappresentano – come prima – un dovuto premio ma un rafforzamento dell’autostima, la certificazione che le risorse mentali sono integre a dispetto delle altre. Una ragione di più per continuare la guerriglia quotidiana, la nostra intifada contro l’artrite.Qualche battaglia la vince lei e qualcuna io, adesso so comunque che posso disporre di un’artiglieria più fornita per combattere il “fuoco amico” del mio sistema immunitario e già mi considero una malata fortunata perché quando è successo a me, erano disponibili farmaci innovativi e in grado di restituirmi a una qualità di vita accettabile.Il mio desiderio è che i malati che ci saranno dopo di me, possano disporre di questi ed altri farmaci ancora più efficaci.