Lupus Eritematoso Sistemico

LES, un camaleonte capriccioso che si può tenere a bada
Gianfranco Ferraccioli, Direttore Istituto di Reumatologia e Scienze affini, Università cattolica del Sacro Cuore Roma
Il sistema immunitario impazzisce e attacca cute, articolazioni, organi interni e apparati. E’ il lupus eritematoso sistemico, una malattia autoimmune, camaleontica per le varie forme può assumere.
«I sintomi di esordio – spiega il professor Gianfranco Ferraccioli – sono rappresentati in genere dalla comparsa di artralgie o artrite (quindi da dolori e/o gonfiori articolari), fotosensibilità sulla pelle (eritema solare nelle aree cutanee esposte ai raggi ultravioletti), febbre o febbricola nonché sintomi di malessere generale e stanchezza. Queste sono le manifestazioni più comuni, tuttavia la malattia è talmente informe e capricciosa che può presentarsi improvvisamente con danni estremamente severi. Tra gli esempi di esordio grave possono verificarsi, come primi sintomi: una nefrite acuta con insufficienza renale o danni celebrali che possono portare a convulsioni e istinti suicidi ». Spetta al medico generalista notare i sintomi più comuni, e prescrivere quegli esami che, in caso di lupus, fanno emergere i campanelli d’allarme: globuli bianchi in numero inferiore al normale, anemia, basso valore delle piastrine, incremento della velocità di eritrosedimentazione, esame alterato per le malattie reumatiche, con un valore normale di proteina C reattiva. In questo caso è necessaria la visita di uno specialista, che prescriverà ulteriori accertamenti, tra cui: la ricerca di anticorpi antinucleo, gli anticorpi antifosfolipidi, gli anticorpi anti DNA, il dosaggio del complemento. In genere la complessità della patologia viene indicata dalla quantità degli anticorpi presenti, la gravità dalla loro tipologia. Dai risultati delle analisi sarà possibile capire quale sia l’attività della malattia e prevederne la probabile evoluzione, in modo da impostare una terapia che sia preventiva, oltre che curativa dei sintomi. I casi più gravi richiedono interventi tempestivi e analisi più approfondite: una diagnosi rapida e precoce contribuisce ad evitare conseguenze molto serie. Se il paziente ha, per esempio, nefrite accompagnata dall’alterazione di tutti i parametri precedentemente citati, deve essere ricoverato e deve essere immediatamente sottoposto a biopsia renale. «Va sottolineato- rassicura Ferraccioli -che oggi anche le nefriti più gravi possono venir curate anche in maniera eccellente e che quindi il malato può ritornare a star bene nell’arco di qualche mese facendo le terapie adeguate». «Il paziente si può presentare in almeno tre categorie – spiega – artro-ematologico, che ha soltanto artrite ed alterazione degli esami del sangue che riguardano i globuli; quello prevalentemente nefritico, con una nefrite più o meno severa, che in alcuni casi può andare anche incontro a insufficienza renale acuta; infine quello con il lupus cerebrale che invece ha un interessamento del sistema nervoso centrale che può andare da disturbi comportamentali, alla comparsa dell’ictus, dei difetti della memoria, ed essere estremamente variabile». Una volta effettuata la diagnosi bisogna stabilire la terapia, a seconda della serietà e della tipologia della malattia si utilizzeranno diversi schemi di trattamento. Le forme più semplici si trattano con piccole dosi di cortisone, associate ai farmaci antimalarici. Nel caso di nefrite si somministrano farmaci immunosoppressori, e in quello di interessamento del sistema nervoso centrale si interviene con altre più alte dosi di cortisone più gli immunosoppressori. L’80-90% dei pazienti ritorna ad avere una vita completamente normale. Il vero problema è rappresentato dalle forme più gravi, circa un quinto di quelle complessive, che presentano insulti acuti del sistema nervoso centrale o le forme più gravi di nefrite: in questi casi sono necessarie terapie molto più lunghe e aggressive e la qualità della vita può essere molto più compromessa. Oggi abbiamo a disposizione anche nuovi farmaci che vanno ad agire sulla risposta immunitaria del soggetto e quindi abbiamo la possibilità di controllare anche le forme di lupus che sono resistenti agli immunosoppressori classici. In generale, grazie a queste nuove terapie, anche nelle forme più gravi si riescono ad avere dei risultati favorevoli. Gli effetti collaterali più severi del trattamento per lupus sono quelli dati dagli immunosoppressori che riducono la fertilità, possono provocare un abbassamento della funzione del midollo e dare da anni epatici. Tuttavia, in quanto salvavita, il rapporto costo-beneficio è a loro favore. Per quanto riguarda invece le forme più comuni di lupus, quei quattro quinti meno gravi, va sottolineato che l’uso di basse dosi di cortisonici, farmaci antimalarici, ed eventualmente degli immunosoppressori leggeri, consente ai malati una vita assolutamente normale. Vanno ovviamente monitorati per i possibili effetti collaterali del cortisone: aumento del peso corporeo, aumento dell’appetito, aumento della pressione arteriosa, atrofia dei muscoli, possibilità di cataratta, riduzione della tolleranza glucidica, comparsa di osteoporosi. Il rischio può venire comunque minimizzato dall’uso della minima dose necessaria e da contestuali terapie cliniche di mantenimento. Il lupus è una tra le patologie più complesse da gestire, il consiglio rimane quello di mettersi nelle mani di bravi specialisti, di effettuare i controlli di routine e di seguire le terapie consigliate.