I farmaci biologici potrebbero allungare la vita ai pazienti colpiti da artrite reumatoide. Lo dimostra uno studio presentato lo scorso giugno al congresso annuale dell’European League Against Rheumatism. Secondo l’indagine, i pazienti a cui vengono somministrati questi farmaci, sia inibitori del fattore di necrosi tumorale alfa (anti-Tnf) sia rituximab, hanno un rischio di mortalità significativamente inferiore rispetto a quelli trattati con i tradizionali farmaci reumatici modificanti la malattia (Dmard). Lo studio, realizzato dai ricercatori del Centro nazionale per la ricerca sulle malattie reumatiche di Berlino, ha coinvolto 8908 pazienti.“È noto che i pazienti con artrite reumatoide hanno una minore aspettativa di vita rispetto alla popolazione generale “ ha detto Joachim Listing, coordinatore dello studio. Alcune analisi, infatti, hanno mostrato che uomini e donne con artrite reumatoide hanno in media un’aspettativa di vita ridotta di 2,2 anni rispetto alla popolazione generale. In particolare, i pazienti con un DAS28 – la scala di valutazione del dolore a 28 parametri – inferiore a 4,1 hanno un’aspettativa di vita normale, mentre tra quelli con un valore più alto le donne muoiono circa 5,6 anni prima, mentre gli uomini 4,8 anni prima.Il team di Listing ha dimostrato che i pazienti trattati con Dmards non biologici presentavano un tasso di mortalità pari a 20,6, quelli in terapia con anti-Tnf ne avevano uno pari a 10,6 e quelli trattati con rituximab 12,7.In uno studio separato alcuni ricercatori hanno valutato, invece, un altro fattore che influenza la sopravvivenza dei pazienti: la remissione precoce. Secondo la ricerca, che ha preso in esame i dati del Norfolk Arthritis Register, una coorte di pazienti istituita nel 1990, ottenere una remissione almeno una volta nei primi tre anni di follow-up è associata a un miglioramento nella sopravvivenza.Inoltre lo studio ha mostrato che ottenere una remissione a uno stadio iniziale della malattia è essenziale per migliorare l’outcome per i pazienti con poliartrite. Infatti, i pazienti in cui la malattia è andata in remissione almeno una volta a un anno dalla diagnosi hanno riportato una maggior riduzione del rischio di mortalità rispetto ai pazienti in cui la malattia era andata in remissione entro due-tre anni o dopo questo periodo.Riferimenti: Eular 2012
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