Finora non c’era una spiegazione valida per le forme più aggressive di Lupus eritematoso sistemico (LES). Ora uno studio italiano coordinato da Gianfranco Ferraccioli, ordinario di Reumatologia e responsabile dell’Unità Operativa di Reumatologia e di Medicina Interna dell’Università Cattolica – Policlinico Gemelli di Roma, ha individuato uno dei fattori responsabili.
Il suo nome è enhancer HS 1.2, e sembra aumentare la risposta infiammatoria caratteristica di questa malattia che colpisce 60mila italiani, principalmente donne. Come spiegato sulle pagine degli Annals of the Rheumatic Diseases, un enhancer è una sequenza di Dna che accelera l’attivazione dei geni a cui è vicino, e ne amplifica l’efficienza (da qui il nome, enancher in inglese significa amplificatore). In particolare, HS1.2 promuove l’attivazione del fattore di trascrizione NF-KB (una molecola che “legge” i geni e li fa lavorare), il quale, a sua volta, influenza la produzione di anticorpi patologici che attaccano l’organismo del paziente invece di difenderlo (auto anticorpi). L’enhancer è presente nel 30 per cento dei pazienti affetti da lupus.
Attualmente le terapie usate per trattare questa malattia cronica si basano su farmaci al cortisone, antimalarici immunosoppressori (azatioprina, micofenolato e ciclofosfamide) e, da qualche anno, anche su farmaci biologici (rituximab e belimumab). Ma in molti casi il LES si rivela molto aggressivo e il paziente non risponde in maniera soddisfacente alle terapia. Ora questa scoperta potrebbe cambiare le cose.
“I nostri studi suggeriscono che nuovi farmaci in grado di silenziare HS1.2 o di inibirne l’effetto su NF-KB potrebbero fermare la malattia senza bisogno di farmaci immunosoppressori o altre terapie, che hanno tutte gravi effetti collaterali”, ha spiegato Ferraccioli. “Inoltre, grazie a questa scoperta è possibile classificare meglio i pazienti, formulare prognosi precise per ognuno e procedere verso una terapia sempre più personalizzata”.
I ricercatori hanno anche dimostrato che questa sequenza promuove la progressione di altre malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, e aumenta la suscettibilità verso questa classe di patologie.
Riferimenti: Annals of The Rheumatic Diseases
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