Da esame complementare, la Risonanza magnetica per immagini (MRI) potrebbe invece diventare un test di elezione per diagnosticare l’osteoartrite, identificando la malattia già agli stadi iniziali e a livello microscopico, intervenendo precocemente con i trattamenti, prima che la patologia diventi troppo aggressiva e che le cartilagini siano eccessivamente danneggiate.
A sostenerlo è uno studio condotto dai ricercatori del NYU Langone Medical Center guidati da Laith M. Jazrawi e pubblicato sul Journal of The American Academy of Orthopaedic Surgeons, che ha preso in considerazione gli ultimi sviluppi nel campo della diagnostica per immagini.
Fino a oggi l’uso della risonanza magnetica per immagini in reumatologia si è limitato principalmente ad analizzare lo stato di degenerazione delle cartilagini in pazienti con dolori alle articolazioni o con artrite conclamata. Lo sviluppo di alcune tecniche di imaging basate sulla composizione biochimica dei tessuti – come la T2 (che studia le relazioni tra acqua e le molecole di collagene), la MRI al sodio, e la dGEMRIC (un tipo di risonanza basata sulla rivelazione dei glicosamminoglicani) – permetteranno invece di indagare i cambiamenti microscopici che occorrono precocemente nelle cartilagini articolari.
“La tecnologia dell’imaging oggi è abbastanza sensibile e potente da rivelare cambiamenti impercettibili nell’intricato bilancio di acqua, condrociti, fibre di collagene e proteine che costituiscono le nostre cartilagini articolari, e che noi ora sappiamo essere indicatori di future osteoartriti” spiega Laith M. Jazrawi. “Identificare precocemente la patologia – continua Jazrawi – permetterebbe di intervenire prima e potenzialmente di modificarne la gestione, passando dalla ricostruzione delle articolazioni alla loro conservazione”.
Riferimenti: Journal of The American Academy of Orthopaedic Surgeons, Vol. 19, No. 7, July 2011, 420-429