La mia storia è iniziata con il momento più bello della mia vita. Era il 1974. Nasceva mio figlio, ma insieme a lui si presentava, non invitato, il Lupus Eritematoso Sistemico (Les).
I dolori articolari sono cominciati subito dopo il parto. Tenere in braccio il mio bambino, compiere i gesti più consueti che tutte le mamme svolgono – nutrirlo, cambiarlo – era spesso una sofferenza. Le mie articolazioni si gonfiavano, si arrossavano, ed erano molto dolenti. Così è cominciato il mio pellegrinaggio per cercare di capire cosa mi stesse succedendo. I medici che mi avevano visitata non erano riusciti a dare un nome al mio problema. Gli esami erano sempre negativi, perché la malattia, pur essendo presente, non era ancora sviluppata. Sono passati così 10 anni. Queste malattie, come molte altre, nei momenti di stress prendono il sopravvento, e anche nel mio caso era andata così.
In un periodo difficile della mia vita, avendo notato un peggioramento, sono tornata a fare gli accertamenti. Il responso degli esami è risultato inequivocabile: positivo. Così i medici hanno potuto finalmente diagnosticare il Les. Lo specialista al quale mi sono rivolta ha iniziato a darmi la terapia adeguata, mi ha rassicurata, consigliandomi di non spaventarmi: avevo una malattia con un brutto nome, ma che si poteva tenere sotto controllo, anche se mi avrebbe accompagnato tutta la vita. Insomma, mi ha spiegato quali potevano essere i momenti più duri, ma da affrontare con serenità.
Sarete meravigliati, ma non ero sconvolta. Io sono una persona positiva e tenace, ho continuato a lavorare e a occuparmi della mia famiglia, pur svolgendo un mestiere fisicamente molto pesante e impegnativo: ero tessitrice in un cotonificio. Un lavoro che mi piaceva molto ma che ho dovuto lasciare a malincuore, a causa della pericardite e della pleurite che sono “probabili complicanze del Les”. Ho fatto richiesta di invalidità al lavoro, che mi è stata concessa, e nel 1992 sono rimasta a casa “a fare la signora”. Infatti queste sono malattie da ricchi, richiedono soldi e vita tranquilla!
Pensando alla mia esperienza e sapendo che esisteva l’Alomar, l’Associazione Lombarda Malati Reumatici, alla quale mi sono iscritta appena si è costituita, ho deciso di entrare a farne parte attivamente. I responsabili dell’associazione hanno chiesto la mia disponibilità ad andare nel reparto di reumatologia per stare vicino ai pazienti ricoverati, e io ho accettato con un entusiasmo che non mi ha più abbandonato. Insieme agli altri volontari dell’associazione cerco di capire i loro problemi, tentando di rendere il loro percorso meno difficile. Per migliorare la mia preparazione teorica ho frequentato l’Università del Volontariato, un corso della durata di due anni che mi ha insegnato tanto. Ora cerco di mettere in pratica quanto ho imparato.
Personalmente andare in reparto e stare vicino ai malati è la cosa che mi piace di più. Ho iniziato a frequentare l’associazione per mezza giornata alla settimana, e ora sono passata a tre giorni pieni. I pazienti ricoverati parlano volentieri con una volontaria che è stata direttamente coinvolta dalla malattia. Sanno che li capisce, ma soprattutto vedono che riesce a condurre una vita normale. E questo li incoraggia a non disperare. Arrivano sempre momenti migliori. Oggi la nostra Associazione, che ha sede a Milano, è a disposizione degli oltre 2000 iscritti, con volontari che rispondono al telefono, organizzano gli incontri medici-pazienti, prendono contatti con i referenti regionali per difendere i nostri diritti e cercano di rimediare alle carenze assistenziali.
Dopo ventinove anni da paziente e otto da volontaria, se dovessi tornare indietro, vorrei che la mia vita fosse esattamente quello che è. Ho la fortuna di riuscire a trovare il lato positivo in ogni situazione. Il Les mi ha permesso di fare la volontaria, un’esperienza che mi ha molto arricchita e che auguro a tutte di provare. Essere uniti in un’Associazione permette di aiutarsi aiutando gli altri, cercando di evitare ai nostri “compagni di strada” il pellegrinaggio toccato a noi. A tutte auguro “in bocca al lupo” e… speriamo che non sia aggressivo!
Maria Grazia