“Mi chiamo Luca e sono malato di spondilite anchilosante da circa 15 anni”… Se fossi iscritto ad un piccolo gruppo di recupero per malati reumatici inizierei così la mia presentazione. Ma la mia condizione va raccontata non a un sparuto numero di persone che condividono lo stesso problema, ma al mondo dei “sani”, a quella stessa società che non comprendendo a fondo i disagi creati da queste patologie finisce per etichettarci con superficialità come “esagerati”, generando frustrazione, auto-ghettizzazione, ulteriore sofferenza psicologica.
L’inizio della mia storia è comune a tante altre: una mattina estiva del 1997 mi sveglio con un leggero fastidio alle anche, avevo 20 anni, ero iscritto all’università al secondo anno ed ero un atleta talentuoso con davanti un futuro radioso di grandi risultati. Dopo circa un mese non camminavo più.
I dolori alle anche si erano fatti lancinanti e si irradiavano lungo le gambe, i talloni erano infiammati al punto da non poterli appoggiare per terra, lo sterno mi doleva tanto da impedirmi movimenti completi delle braccia. Tutto quello che avevo dato per scontato fino a quel momento era diventato di colpo difficilissimo. Starnutire era una sofferenza, entrare in macchina quasi impossibile, girarsi nel letto un lusso, svegliarsi la mattina… un incubo. Ero passato troppo velocemente dall’allenarmi tutti i giorni allo strisciare in casa appoggiandomi ai mobili. Psicologicamente già distrutto, non sapevo ancora a cosa sarei andato incontro.
Come nella maggior parte dei casi la difficoltà iniziale fu individuare la malattia, sono stato curato per ernia al disco, sciatalgia, qualcuno ha creduto che io fossi pazzo, ho fatto mesoterapia, magnetoterapia, fisioterapia e tante altre cose i cui nomi terminano con “-terapia”, tutto senza risultati.
Dopo circa un anno la geniale intuizione di mio zio, che da bravo pediatra è abituato a lavorare con pazienti che non gli sanno spiegare i sintomi, mi ha indirizzato sulla strada giusta: la reumatologia. È bastata una visita corredata di analisi e tipizzazione HLA perchè il Prof. V. arrivasse all’ovvia conclusione che la spondilite anchilosante era diventata parte della mia vita. Quel giorno mi illusi, erroneamente, che trovata la malattia sarebbe stato facile curarla. E invece mi bastarono pochi minuti di navigazione su internet per capire in che guaio fossi finito.
Gli anni successivi furono un susseguirsi di miglioramenti e ricadute, senza mai avvicinarmi a quella condizione di “normalità” che ormai mi sembrava lontana e antica. L’atletica leggera era ormai un ricordo, l’università quasi non procedeva, e tutti i miei sforzi mentali erano rivolti a tenermi attaccato alla speranza che un giorno qualcosa sarebbe cambiato e che comunque non dovevo arrendermi.
Ho usato la salazopirina per circa 3 anni, poi ha smesso di funzionare e sono passato all’indometacina che con i suoi effetti collaterali mi costringeva a trascorrere i pomeriggi sul letto a fissare il soffitto, infine sono approdato al chemioterapico Methotraxate, il tutto sempre con l’aggiunta di svariati tipi di antinfiammatori che assumevo più volte al giorno. Niente ha mai veramente funzionato. Le varie riacutizzazioni della malattia mi avevano portato dolori in nuove zone, le dita dei piedi e la schiena, e l’obiettivo principale non era più la guarigione ma soltanto il miglioramento.
Erano ormai passati 7 anni, io ne avevo quasi 27 e da tempo mi ero fatto una ragione della mia malattia. Continuavo a sforzarmi di essere positivo, anche per le persone che mi stavano intorno, non volevo che la mia famiglia soffrisse troppo nel vedermi in quelle condizioni.
E poi un giorno è cambiato tutto.
Nell’aprile del 2004 il Prof. V. mi propone un nuovo tipo di cura, in parte ancora sperimentale, un farmaco cosiddetto “biologico”, vale a dire basato su un principio attivo, l’infliximab, creato in laboratorio. Mi mette al corrente dei possibili effetti collaterali e concordiamo insieme la data della prima infusione. Pochi giorni dopo mi reco al policlinico di Napoli carico di speranze, e di dolori, per l’inizio della terapia. La mattina seguente, a tutt’oggi la più bella della mia vita, mi alzo dal letto con una facilità che mi sembrava perduta per sempre. Ripeto l’infusione dopo due settimane, poi dopo quattro e infine dopo sei.
A settembre ricomincio a correre.
Lentamente elimino tutti gli altri farmaci, l’intervallo tra le infusioni si allunga a otto settimane (periodo considerato massimo). A novembre ricomincio ad allenarmi seriamente pur tra mille difficoltà e dolori. A gennaio torno addirittura a gareggiare ed entro l’estate successiva perdo circa 10 kg.
Oggi ho 33 anni, svolgo il mio lavoro di ingegnere, mi alleno tutti i giorni e corro, salto, lancio più di quanto non facessi prima della malattia. I dolori sono spariti del tutto, anche grazie alla forma fisica ritrovata, e mi ricordo della spondilite solo ogni quattordici settimane quando mi reco all’ospedale per l’infusione di vita.
Nella sfortuna di convivere con una patologia grave mi ritengo una persona fortunata, perché ho avuto uno zio bravissimo che ha avuto la giusta intuizione, perché sono stato in cura dal Prof. V., uno dei migliori reumatologi al mondo e persona di grande umanità, perché la diagnosi mi è stata fatta solo un anno dopo l’insorgere dei primi sintomi, perché la mia splendida famiglia mi ha sempre sostenuto e mi ha consentito di fare il “malato”, perché sono sempre stato una persona positiva e non mi sono mai arreso, nemmeno quando alcuni medici mi dicevano che al massimo potevo aspirare ad una qualità di vita quasi normale.
Questi anni mi hanno insegnato molto. Innanzitutto a non dare niente per scontato, e poi a godere fino in fondo di tante piccole cose. Ogni passo, ogni metro di corsa, ogni volta che mi allaccio le scarpe, ogni gesto per molti banale, per me ha un sapore speciale, è fonte di felicità. Ho imparato a dare il giusto peso ai problemi e ad affrontarli con la voglia reale di risolverli. Ho conosciuto tante persone splendide, tanti malati in condizioni gravi e gravissime che si mostravano comunque sempre sorridenti ed ottimisti. Ho capito che nella vita l’unico atteggiamento vincente è quello di essere positivi. Non so cosa mi riservi il futuro e sinceramente non mi interessa molto, perché mi godo il presente e tutti i regali che questa patologia, che davvero è ormai parte di me, mi ha fatto.
Luca Cirillo